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Immagine del redattoreSara Bortoletti

Qual è il tuo stile genitoriale?

John Gottman, psicologo americano, individua quattro categorie nelle quali possono essere identificati i genitori, perché certamente è importante che riescano a garantire al figlio un ambiente positivo, ma non basta, molti adulti nonostante siano affettuosi e presenti non riescono a relazionarsi in modo proficuo con le risposte emotive positive o negative del ragazzo.


Gottman individua quattro stili di genitori: i noncuranti, i censori, i lassisti e gli allenatori emotivi.


I NONCURANTI sono coloro che non prendono in considerazione, svalutano e trascurano gli stati emotivi negativi del figlio. Nel dettaglio considerano le emozioni negative del bambino/a come qualcosa che deve passare velocemente senza cercare di comprendere il loro significato, su cui non bisogna soffermarsi troppo, anzi su cui occorre trovar un modo per interrompere quel flusso emotivo perché crea disagio, imbarazzo o fastidio all’adulto.


Inoltre, il genitore noncurante ritiene che le emozioni negative siano nocive per il bambino e per tutta la famiglia e che dedicarsi alla comprensione di tali risposte emotive peggiori la situazione e non permette di andare oltre; quindi, vi è l’idea che grazie al passare del tempo e alla loro trascuratezza si sistemino le cose.


Con questo non si intende che questi genitori non provino affetto e amore nei confronti del loro figlio, ma hanno un modo di intendere le emozioni che non è adeguato, probabilmente loro stessi hanno avuto un’educazione emotiva simile quando erano bambini. Perché ovviamente se viene impartita questo tipo di educazione il figlio comincia a pensare alle sue emozioni come qualcosa di sbagliato, non consono e soprattutto senza valore. Di conseguenza questo porta nella vita del soggetto ad una fatica generale nel navigare i suoi stati emotivi, nel cercare di comprenderli e lavorarli perché crede che siano qualcosa da sopprimere e di cui vergognarsi.



I genitori CENSORI assomigliano ai genitori noncuranti con la differenza che i censori sono più giudicanti e critici nei confronti delle emozioni del figlio.

Per cui non solo trascurano e non prendono in considerazione le risposte emotive del bambino, ma le deplorano.


Quindi il soggetto viene costantemente esortato a reprimere determinate emozioni e se non riesce il genitore tende a colpevolizzarlo. Al posto di cercare di capire il perché il figlio sta provando quello stato d’animo, l’attenzione si sposta sulle manifestazioni e sul suo comportamento, per cui ad esempio se un bambino piccolo è arrabbiato e comincia a scalciare o sbattere le gambe, il genitore lo rimprovera o addirittura gli da uno sculaccione senza trovare il motivo di questo suo nervosismo, andando solo che a peggiorare le cose.



Inoltre, i genitori censori ritengono che le lacrime siano un modo per manipolare l’adulto al fine che venga fatto ciò che il bambino vuole, ma siccome questa manifestazione emotiva innervosisce il genitore, quest’ultimo cerca di farlo smettere acconsentendo a qualsiasi richiesta.


Naturalmente, i figli dei genitori censori hanno delle conseguenze che possono essere simili a quelli dei genitori noncuranti, in particolare: «hanno molta difficoltà a imparare a regolare le loro proprie emozioni e a risolvere i loro problemi. Hanno maggiori difficoltà rispetto agli altri a concentrarsi, nell’apprendimento, a trattare con i coetanei»[1].




I genitori LASSISTI sono degli adulti che riescono ad accettare e comprendere le emozioni del figlio, ma non sono capaci di stabilire delle regole e dei limiti utili per il bambino e fanno fatica a porsi come modello di riferimento. Possono essere paragonati per alcuni aspetti a delle figure molto permissive, perché acconsentono a qualsiasi richiesta e manifestazione emotiva del soggetto anche se completamente inappropriata, senza cercare di sostenerlo nel miglioramento della gestione del suo magma emozionale.


In questo modo il figlio non sente l’aiuto nel cercare di decifrare la sua tempesta emotiva per trovare una modalità più adeguata di espressione. Il genitore lassista mette in atto tale educazione perché pensa che l’unico modo per affrontare le emozioni negative sia quello di farle fuoriuscire in qualsiasi forma e accettarle, dopodiché il problema è risolto fino al sopraggiungere di un’altra tempesta emotiva.


Questo porta il bambino e il ragazzo a non apprendere come può controllare e gestire le sue emozioni e di conseguenza farà fatica a tenere alta l’attenzione su un compito, a instaurare nuove amicizie e a relazionarsi con le altre persone.




Gli ALLENATORI EMOTIVI sono coloro che non solo rispettano e accettano le emozioni dei ragazzi, ma anche vedono in tali momenti delle opportunità di crescita e di intimità per i soggetti.

Secondo Gottman questo tipo di genitori:

fungono da guida dei loro figli nel mondo delle emozioni. Vanno oltre la semplice accettazione dell'emozione e pongono dei limiti nei confronti dei comportamenti inaccettabili, insegnando ai loro figli come fare a regolare i sentimenti, trovando adeguate valvole di sfogo e risolvendo i problemi. […] i genitori-allenatori hanno una forte consapevolezza delle loro emozioni e di quelle delle persone che amano, riconoscono che tutte le emozioni possono svolgere funzioni positive nella nostra vita.[2]


Per cui il genitore-allenatore emotivo nel momento in cui si presenta l’occasione di uno sfogo emotivo del figlio, coglie la possibilità di: poter lavorare sul trovare insieme all’educando un’alternativa per risolvere il problema; dare l’esempio per navigare l’emozione; supportare il soggetto nella ricerca di un termine adeguato per denominare l’emozione provata; stabilire dei confini e delle regole entro le quali si può muovere e cercare il modo di scorgere la questione dal suo punto di vista provando ad empatizzare con lui e ad ascoltarlo in modo attento.


In questo modo i bambini riescono a fidarsi delle proprie emozioni, a trovare il modo per gestirle e regolarle al fine di affrontare i conflitti in modo ottimale. Inoltre, essi riescono ad avere una buona considerazione di sé stessi, relazionandosi con gli altri in modo consono. Si tratta, quindi, di far vivere il figlio in un contesto dove non si senta schiacciato dal peso delle prestazioni, o dell’essere all’altezza, o di essere giudicato per esprimere sé stesso. Ma di offrirgli un ambiente emotivamente accogliente, nel quale viene accettato l’intero repertorio delle sue emozioni, e viene aiutato a comprenderle maggiormente e a trovare dei canali di espressione che non siano nocivi per il ragazzo.[3]



[1] John GOTTMAN, Intelligenza emotiva per un figlio: una guida per i genitori, Milano, BUR, 2020, p.83. [2] Ivi, p.88. [3] Cfr. Dan KINDLON, Michael THOMPSON, Intelligenza emotiva per un bambino che diventerà uomo, Milano, Rizzoli, 2000, p.309.

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